ANDREA GUIDAZZI

Proprio in questi giorni, mentre già si suda in palestra per preparare la nuova stagione sportiva, Coach Luca Chiadini ci racconta la sua esaltante esperienza alla guida della giovanissima squadra di Serie D dell'A.I.C.S. JUNIOR BASKET FORLÌ, salvatasi ai playout della stagione sportiva 2015-2016, mettendo in pratica concetti d'oro, tutt'ora in vigore, che altri invece esprimono solo a parole e mai nei fatti...
di Stefano Benzoni
Luca Chiadini, classe 1962, per tutti “Chiodo”, aveva le idee chiare in campo quando giocava e le ha, se vogliamo ancor di più oggi che allena nel mondo A.I.C.S. BASKET, venuta a confluire nella meravigliosa galassia OneTeam: “Tutti parlano di fare un progetto, oppure che mancano progetti. Ma sapete qual è la verità? La verità è che molte società di fare un progetto, sia a livello di settore giovanile, sia a livello di prima squadra, non ne hanno voglia. E sapete perché? Perché mettere in piedi un progetto vero costa fatica, sacrifici, sudore e tanto, tanto lavoro. Inoltre, il più delle volte non ti dà soddisfazioni a livello di risultati e di vittorie per qualche anno ed in questo periodo devi aumentare la tua voglia ed il tuo impegno senza mai mollare e guardare alle partite che perdi o a quelle (poche) che vinci perché devi essere concentrato su quello a cui punti, appunto un progetto, che non si costruisce da un giorno all'altro”.
Finito? Nemmeno per sogno! Chiadini va avanti con grande lucidità ma non con minor enfasi nello sviluppo dei suoi concetti che dovrebbero far parte di tanti ma che purtroppo invece appartengono a pochi, troppo pochi: “Oggi tutti o quasi tutti investono anno dopo anno fior di migliaia di euro sulla prima squadra, con il risultato che a fine stagione, sia che tu abbia vinto, sia che tu abbia perso, devi tornare ad investire se va bene la stessa cifra dell'anno passato, se va male invece, ancora più soldi, ma a lungo andare il giochino finisce e ti ritrovi con poco o nulla in mano... Viceversa, se tu hai un buon settore giovanile su cui investi mettendo in piedi un progetto, alla fine la prima squadra ha un costo pari a zero o quasi, tu non ti sveni e non spendi troppo, il pubblico ti segue e ti si affeziona molto di più ed il saldo resta comunque positivo”. Questo da un punto di vista dirigenziale o visto nell'ottica del presidente. Ma che ne penserebbe un allenatore di fronte ad un discorso di questo tipo? Dovrebbe fare l'offeso oppure essere contento e stimolato? Chiadini non ha dubbi: “Certamente, gestire un gruppo di trentenni per un coach è molto più agevole e meno faticoso rispetto ad allenare un gruppo di diciottenni, ventenni o giù di lì, ma volete mettere la soddisfazione? Allenare i ragazzi è sicuramente più faticoso e più impegnativo, ti devi spaccare la schiena in palestra, ma è centomila volte più divertente, soddisfacente ed appagante. E poi secondo me un coach non deve mai avere paura di rimettersi in gioco”.
Chiadini nella stagione appena trascorsa ha allenato quattro squadre, l'Under 14 e Under 16 femminile e l'Under 20 e la Serie D maschile ed è proprio su quest'ultima formazione che concentriamo la nostra attenzione. Rispetto al campionato 2014-2015 la squadra è stata cambiata completamente. Sono stati lanciati giovani e sono stati riproposti a più alti livelli elementi che erano stati “dimenticati” nel sommerso, oppure considerati finiti o comunque ininfluenti per dire la loro in campionati superiori. La squadra, giovanissima, con un'età media di poco superiore ai 20 anni – e su questa media hanno inciso pesantemente i 37 anni abbondanti di Riccardo Molinari, per tutti Molly, uomo chiave per lo spogliatoio – si è salvata ai playout, ma come dice il suo allenatore “salvarsi con una squadra così è come vincere un campionato. Anzi, no, salvarsi è più appagante e più bello!”
Ma come ci è riuscito? Facile, anzi, mica tanto... “In precampionato, com'era logico aspettarsi da una squadra giovane ed entusiasta, siamo partiti alla grande: abbiamo vinto diversi tornei e siamo anche arrivati ad un passo dalla Final Four di Coppa (Trofeo Marchetti). Poi, con l'inizio del campionato, sono ovviamente iniziate le difficoltà. La nostra stella polare doveva essere, e a dire il vero è sempre stata, una sola: vale a dire chi eravamo, da dove eravamo partiti e dove volevamo arrivare. Cioè una squadra molto giovane, molto inesperta, ma anche molto affamata e molto motivata, ma con innegabili difetti strutturali, di talento e di abitudine a giocare a certi livelli. E proprio per questo con l'inizio del campionato, un campionato che in Emilia Romagna ed in Lombardia presentava un livello molto alto, abbiamo cominciato ad andare sulle montagne russe. Abbiamo vinto partite impensabili, ma ne abbiamo perse diverse di poco, con scarti da 1 a 5 punti, e tutte fondamentali. Avremmo potuto piangerci addosso e dire: ah se avessimo vinto la gara x o la gara y, ma non l'abbiamo mai fatto perché sapevamo che la differenza fra una squadra esperta e navigata ed una che va costruita era proprio questo. Abbiamo giocato senza un centro e questo perché i centri veri e forti sono pochi e costano troppo. Per cui abbiamo scelto di utilizzare Luigi Totaro da finto “5” con tutti i pregi e i difetti che questo ha comportato. In difesa abbiamo scelto di essere coperti dentro ma facendo questo abbiamo subito tanto dalla linea dei tre punti ed allora abbiamo sopperito cercando di confondere le carte con una difesa match-up inventata e molto particolare. Però nonostante tutto alla fine abbiamo vinto la nostra scommessa perché, pur sapendo di partire "ad handicap" e con tanti difetti, ciascuno dei ragazzi, talvolta senza accorgersene, sia in partita sia in ogni allenamento, ha sempre superato se stesso e questa è stata la chiave”. Poi le parole di Chiadini si spezzano in una riflessione-elogio che sa anche di autocritica: “A questi ragazzi fantastici io ogni giorno ho sempre chiesto qualcosa di più, anche se forse né io, né loro ce ne rendevamo pienamente conto. Io di questo mi sono reso conto, loro invece credo di no, ma sia a livello di testa, sia a livello di gambe se ne renderanno conto nella prossima stagione. Questi i ragazzi del Chiodo, i protagonisti di questa impresa insperata:
Ruolo Giocatore Anno
1 Fabio Bergantini 1998
1 Giacomo Gasperini 1998
2 Enrico Valgimigli 1994
3 Giacomo Zamagni 1992
4-5 Luigi Totaro 1993
3-4 Niccolò Bacchini 1995
3 Lorenzo Ferri 1995
3-4 Fabio Crocini 1991
4-5 Emanuele Bombardini 1997
2 Giovanni Catani 1997
2 Elia Perugini 1999
3-4 Lorenzo Casadio 1998
3-4 Alex Miglietta 1999
4-5 Riccardo Molinari 1978
Hanno lasciato la squadra nel corso della stagione Lorenzo Troni, play-guardia classe 1998 di Faenza ed Enrico Cortini guardia del 1993 di Forlì.
Per ognuno di loro Chiadini spende parole importanti, sincere e sentite:
Fabio Bergantini: “Ha avuto la squadra in mano a 17 anni. Ha un talento notevole. Se matura e capisce che il basket è anche sacrificio può diventare un play che sposta il livello. É stato bravo a 17 anni a reggere la pressione”.
Giacomo Gasperini: “Ha più talento di quello che pensa. E' stato ripescato dalla “spazzatura”. Deve aumentare di peso perché se l'aria da brezza diventa vento leggero vola via. Ha una gran mano ed una notevole capacità di passare la palla”.
Enrico Valgimigli: “È un giocatore vero, fatto ed importante, anche se ha ancora una parte di emotività che non riesce a gestire bene ed in questo deve migliorare. Una colonna”.
Giacomo Zamagni: “Genio e sregolatezza, è un giovane esperto che talvolta si dimentica di esserlo. A volte è un leader silenzioso, a volte mi fa un po' arrabbiare... Ha trovato dentro di sé molte motivazioni ed in cinque anni ci ha dato tanto”.
Luigi Totaro: “Durante tutto l'anno è stato lo scoglio a cui tutti si sono aggrappati. Punto di riferimento. Non sa fare troppe cose, ma quelle che fa le fa veramente bene”.
Niccolo Bacchini: “Il giocatore più silenzioso nella storia del basket. Tiene al basket come pochissimi. Alla prima esperienza vera. Deve migliorare”.
Lorenzo Ferri: “Ragazzo d'oro dedito al sacrificio. Ha bisogno di giocare per capire quanto vale. Per questo deve cambiare squadra”.
Fabio Crocini: “Anima e cuore della squadra. Non eccelle per talento, ma per voglia e cuore. Grande difensore e soprattutto il nostro grande preparatore atletico”.
Emanuele Bombardini: “Ragazzo fantastico che deve credere di più in se stesso e lavorare tanto per diventare un giocatore vero: ce la può fare”.
Giovanni Catani: “Vale quanto detto per Bombardini”.
Elia Perugini: “E' un pezzo del futuro di questa società. Deve smettere di essere un bambino e maturare in fretta. Talento e capacità fisiche fuori dalla norma”.
Lorenzo Casadio: “Il soldato, uno con una mentalità da Marine su cui puoi sempre contare. L'anno prossimo per lui sarà lo spartiacque: se riuscirà a migliorare sarà anche lui un pezzo importante di questa società”.
Alex Miglietta: “Vale lo stesso discorso fatto per Casadio. Deve continuare a lavorare duro ed essere un po' meno superficiale”.
Riccardo Molinari: “E' il giullare che fa più canestro da tre nel basket italiano. Credo sia il peggior difensore del mondo. Il giocatore ed il compagno che umanamente tutti vorrebbero avere nel loro gruppo”.
Ma Chiadini non dimentica di citare lo staff composto dalla fisioterapista Carmen Barucci, da Gino Bergantini e da Michele Bandini:
Carmen Barucci: “Se le dovessi dare un voto le darei più di 10. E' laureata, è bravissima ed una che arriva mezz'ora prima e se ne va mezz'ora dopo. Sarà un caso ma non abbiamo mai avuto un infortunio serio. Disponibilità massima. Super”.
Giono Bergantini: “Un fratello per tutti”.
Michele Bandini: “Se non ci fosse bisognerebbe inventarlo”.
E che dire di coach Luca Chiadini? Con un po' di ritrosia, il Chiodo parla anche di sé... “Sono stato entusiasta del risultato ottenuto, ma soprattutto contentissimo del lavoro fatto, stressante, duro, faticoso, ma divertente ed appagante. Perché quando ogni giorno vai in palestra e ti diverti non puoi non sentirti appagato”.